Lo sport inclusivo

In passato i disabili venivano esclusi dallo sport e solo a partire dal 1960, in Italia, con le prime Paraolimpiadi, i disabili con disabilità fisica cominciarono a praticare sport speciali concepiti solo per loro. Successivamente, anche i disabili con disabilità intellettiva, dal 1986, in Italia, grazie ai primi Special Olympics (Giochi Olimpici Speciali), cominciarono a praticare sport. Pertanto, si riconosce a tutti i i disabili il diritto alla pratica sportiva in modo separato.

Con la nascita dello sport inclusivo, invece, i disabili cominciarono a praticare sport insieme ai normodotati.


Lo sport inclusivo non nasce come una sostituzione degli sport speciali per soli disabili, ma nasce come un’opzione, in cui il disabile è libero di scegliere se praticare l’uno o l’altro (perciò si riconosce anche il diritto di scelta).


L’inclusione però, non è solo accogliere tutti (integrazione), ma anche costruire dei percorsi che valorizzano tutti. Non si tratta di mettere tutti dentro e basta, perché i disabili potrebbero essere esclusi da dentro, ad esempio: “sono nella squadra, ma nessuno mi passa la palla…”

Questo si chiama rischio della normalizzazione, cioè chi si avvicina alla norma viene valorizzato, mentre i deboli vengono schiacciati. L’altro rischio che potrebbe accadere è quello opposto, cioè dell’assistenzialismo, dove si valorizzano i più deboli (i disabili) e si trascurano i più bravi (i normodotati), i quali non possono giocare al massimo delle loro possibilità (si autolimitano) perché devono assistere i più deboli.

Quindi, è necessario organizzare l’attività per far sì che sia i disabili sia i normodotati possano contare gli uni per gli altri; non è solo stare tra gli altri, ma è anche fare con gli altri e contare per gli altri (indipendentemente dalle proprie disabilità fisiche o mentali). È proprio questo che distingue “accogliere la diversità” con “valorizzare la diversità” e ciò richiede un ingegno impegnativo. Includere nelle attività sportive dei normodotati, anche persone disabili, è una chiave di successo a livello metodologico e didattico per poter offrire un intervento valido per un pubblico più ampio. Quindi, bisogna pensare di adattare la proposta sportiva ai nostri destinatari come se fosse una cultura, da mettere in atto ogni giorno progettando la proposta.

Un esempio di sport inclusivo è il People Olympics, il Baskin e il Rafroball.

Come valorizzare i disabili e i normodotati in modo che ciascuno possa contare l’uno per l’altro?

L’inclusione è cercare qualcosa che rispetti la dignità e valorizzi le capacità di tutti: sia disabili che normodotati. Questa è la sfida più difficile… Come?

  • Diversificando i ruoli (ruoli differenziati), cioè attribuire i ruoli adatti alle capacità reali di ciascuno;
  • Modificando le regole di uno sport già esistente (come ad esempio il Baskin) oppure inventare uno sport completamente nuovo. Cambiare la regola è necessario per rendere il livello dei giocatori equo e il gioco accessibile a tutti. Esempi nella pallavolo: variare l’altezza della rete per i disabili, variare la dimensione delle zone di campo da difendere per i disabili (non è assistenzialismo, perché il disabile deve comunque garantire che la palla non cada a terra), cambiare il numero dei tocchi del pallone, ecc…

L’inclusione nello sport: l’esempio del Baskin

Il Baskin trae origine dal basket e ne mantiene lo scopo del gioco, cioè segnare più canestri della squadra avversaria. Ogni squadra è composta sia da giocatori disabili che non disabili, ciascuno dei quali è portato ad esprimersi al massimo delle sue capacità insieme ai compagni. Possono partecipare sia persone con disabilità mentali, sia persone con disabilità fisiche, sia persone senza nessun tipo di disabilità. Anche tra i normodotati ci possono essere giocatori di pallacanestro, sportivi provenienti da altre discipline e persone meno abituate allo sport. Le squadre sono miste anche dal punto di vista del sesso e dell’età. Tutto ciò è possibile grazie ad un ingegnoso sistema di regole, pensato per adattarsi ai giocatori. Il ruolo è assegnato in base alle capacità personali e ciò permette ad ognuno di esprimere il meglio di sé garantendo di poter essere determinante per il risultato finale. Nel Baskin vi è la presenza di quattro aree di attacco/difesa; alle due aree standard vengono aggiunte due aree più piccole tracciate a metà dei lati lunghi del campo e dette aree laterali. Ogni area laterale ospita due canestri di diversa altezza, quindi i canestri totali sono sei. Ciascuna squadra può attaccare sia l’area tradizionale frontale che l’area laterale destra, rendendo il gioco molto dinamico. Esistono cinque ruoli di gioco:

  • il ruolo 5 è un soggetto con ottime capacità motorie;
  • il ruolo 4 è un soggetto con buone capacità motorie, che non ha familiarità con la pallacanestro, può essere sia normodotato che disabile;
  • il ruolo 3 è un soggetto con alcune difficoltà motorie che comunque gli consentono di correre lungo il campo fermando il palleggio, di gestire i passaggi e il tiro, per esempio può avere una menomazione fisica o la sindrome di down;
  • i ruoli 1 e 2 infine sono i pivot, sostano nell’area laterale e attendono che un compagno di squadra riesca a superare la difesa avversaria ed entrare nell’area per portargli la palla. A questo punto il gioco si ferma e il pivot tira al canestro laterale (quello più alto o quello più basso, a seconda delle sue capacità). Il pivot ha ridotte capacità motorie, per esempio può avere una disabilità che lo vincola a stare seduto, o potrebbe essere un soggetto autistico con difficoltà a gestire le dinamiche in campo.

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