Il senso del limite nello sport

No-limits
Non porsi nessun limite mentale, spinge l’individuo a tentare di superare i propri limiti nel migliore dei modi.

La parola “limite” fa pensare ad un punto di arrivo che impedisce di andare oltre. Il limite indica il livello massimo che non si può superare. Parto da una premessa: affermare che non esiste un limite per l’essere umano è peccare di superbia, in quanto gli esseri umani sono imperfetti e mortali. Se così non fosse, allora gli ultra maratoneti potrebbero correre all’infinito oppure i centometristi potrebbero correre alla velocità della luce. Non siamo mica delle macchine o degli extraterrestri!

Tuttavia, oggi, nessuno sa con assoluta certezza quale sia il limite a cui ragionevolmente un essere umano possa aspirare, non solo nello sport, ma anche in tutti gli altri ambiti.

Per questo motivo l’essere umano è alla continua ricerca e scoperta di questo limite. Nel mondo dello sport, da 150 anni, l’uomo cerca di spingersi sempre più in alto alla ricerca dei suoi limiti. Quarant’anni fa, per esempio, nessuno avrebbe mai immaginato che un atleta potesse fare gli incredibili record di oggi. Ogni anno o poco più, c’è un atleta che corre un po’ più veloce, un altro che salta un po’ più avanti, un altro che riesce a sollevare un po’ di più e così via… Ma dovrà pur arrivare il punto o la soglia oltre il quale il corpo umano non può andare. È possibile stabilire una volta per tutte questa soglia? La storia dei record ci dice che non si può dare mai nulla per scontato.

Si pensi al record del mondo dell’italiano Pietro Menna di 19”72 sui 200 metri piani del 1979, che ha resistito oltre dieci anni. Oggi con Usain Bolt, che ha corso la stessa distanza con mezzo secondo in meno, il record di Mennea sembra quasi archeologia. Con Bolt, in effetti, l’atletica leggera e l’essere umano, sembrano essere entrati in una nuova dimensione dell’evoluzione. Studi recenti indicano in 18 secondi e 15 centesimi la soglia impossibile da valicare sui 200 metri per l’essere umano e 9 secondi 15 centesimi sui 100 metri. Ma non è detto che sia la parola definitiva…

Infatti, proprio per questo motivo, non bisogna mai porsi nessun limite a livello mentale, cioè essere ottimisti, tenaci e resilienti per sfruttare al massimo le proprie potenzialità, in modo da continuare a migliorare le proprie prestazioni atletiche sportive ed oltrepassare i propri limiti. Quindi è questo il senso del limite che non esiste!

Non porsi nessun limite mentale, spinge l’individuo a tentare di superare i propri limiti nel migliore dei modi.

 “Se non tentiamo di superare i nostri limiti, non sapremo mai di che cosa siamo capaci e di quanto siamo in grado di dare”.

Ma qual è il modo migliore per non porsi nessun limite mentale e quindi superare i propri limiti?

Il modo migliore, come ho già detto, è essere ottimisti, tenaci e resilienti.

OTTIMISMO

In qualsiasi sport occorre non solo una preparazione fisica, ma anche mentale. La migliore preparazione mentale è il pensiero positivo:

“Se riesci a trovare il positivo in tutto ciò che ti succede, niente ti potrà fermare”.

Quando succede qualcosa di spiacevole o di negativo bisogna riuscire a riviverla, a ripensarla e riportarla in esperienze future per ottenere qualcosa di positivo. Ad esempio, quando si sbaglia, si riparte senza ossessionarsi dagli errori, ma facendone tesoro per il futuro lavorando quindi sul positivo e non sulla paura dell’errore. Tanto è vero che esiste il detto sbagliando s’impara.

Non bisogna soffermarsi sulle cose che non vanno, ma avere una visione più ampia, cioè vedere anche le cose che vanno bene.

Il pensiero positivo è cercare ciò che dell’atleta è positivo (cercare il buono dell’atleta). La persona ottimista considera che un evento negativo sia una situazione temporanea e specifica (un caso isolato) e che la colpa non sia esclusivamente sua, ma è anche dovuta ad altri fattori esterni. Quando invece, succede un evento positivo, la persona ottimista si attribuisce il merito, rafforzando la propria autostima. Inoltre, le persone ottimiste non perdono mai la speranza, cioè l’attesa viva e fiduciosa di un bene futuro.

Dunque, se un atleta è ottimista può superare i suoi limiti, perché ha anche una corretta e chiara valutazione delle proprie capacità e potenzialità, la quale influisce positivamente sull’autostima e questo è assolutamente motivante.

TENACIA

Parlare della tenacia nello sport significa colui che non si perde d’animo e fa davvero di tutto per rialzarsi; incarna davvero lo spirito autentico dello sport, che è quello di non arrendersi mai fino alla fine. La tenacia è una caratteristica indispensabile per superare i propri limiti, perché l’atleta tenace è forte, resistente, ostinato, combattivo, determinato ecc.

RESILIENZA

Ci sono varie definizioni di resilienza. La resilienza è la capacità di un corpo di reagire alle pressioni e agli shock (evento precipitante come un lutto, incidente, trauma, abbandono). Questa definizione proviene dai miei appunti del corso di psicologia generale e dello sport e indica l’atteggiamento di andare avanti senza arrendersi, nonostante le difficoltà.

Nel libro Perseverare è umano di Pietro Trabucchi, la definizione di resilienza è la capacità di perseverare, di far durare a lungo la motivazione nonostante gli ostacoli, le difficoltà e i problemi. Per mantenere elevata la motivazione a lungo, bisogna essere resilienti. Una forte resilienza può spingere la motivazione delle persone a un impegno straordinario. La resilienza è una caratteristica allenabile, proprio come i muscoli, si può migliorare, indipendentemente dalla dotazione di base che si riceve alla nascita. Come si fa a migliorare la resilienza?

Secondo me, si parte dal presupposto che innanzitutto la motivazione deve essere intrinseca, cioè deve provenire da dentro, vale a dire per gratificazione, piacere e soddisfazione personale. “Io faccio quella cosa perché mi piace ed è importante per me”. Poi, possono esserci anche altre motivazioni, ma se non c’è la motivazione intrinseca, sarà difficile raggiungere i propri obbiettivi. Questo perché la motivazione estrinseca, legata a fattori esterni come ricevere lodi, riconoscimenti, notorietà, incentivi, premi, buoni voti, ecc. funziona solo a breve termine e solo se il raggiungimento dell’obbiettivo non costa troppo in termini di fatica e sofferenza. Quando si fanno le cose che si amano fare, invece, le persone sono più disposte a impegnarsi fino in fondo, arrivando oltre i propri limiti. Pertanto, chi è mosso dalla motivazione intrinseca è più resiliente.

Durante l’evoluzione, l’essere umano ha sviluppato in aree specifiche del cervello (il cervello resiliente), la capacità di auto motivarsi per lungo tempo senza ricorrere a fonti motivazionali esterne. Nelle gare di ultra endurance, gli studi dimostrano che molti atleti sono capaci, grazie a queste aree, di proseguire oltre i limiti fisici, modificando persino la percezione del dolore. Come si possono utilizzare le risorse motivazionali presenti nel nostro cervello? Come si può aumentare dunque, la resilienza?

Lo sviluppo della resilienza a livello individuale si ottiene aumentando il senso di autoefficacia/competenza, vale a dire la convinzione di potercela fare in una determinata disciplina credendo nelle proprie capacità, cioè sentirsi adeguati o capaci di raggiungere un obbiettivo. Questo si sviluppa attraverso le esperienze di successo: più successi si ottengono, più ci si sente bravi e capaci, più si è motivati a fare. Il senso di autoefficacia si sviluppa soprattutto evitando il Self-handicapping, ovvero l’autosabotaggio tipico delle persone pessimiste. La caratteristica degli autosabotaggi sta nel confondere realtà esterna e valutazioni interne limitanti. Ad esempio, prima di fare una prestazione atletica o una gara, crearsi un pensiero negativo del futuro che non corrisponde con la realtà, in quanto il futuro non esiste essendo una costruzione della propria mente. Finché l’evento non si verifica, non si può sapere cosa succederà. L’autosabotatore, quindi, si crea l’alibi, così nel caso in cui fallisse, ha già la scusa pronta. Il suo atteggiamento rischia di far avverare concretamente le sue paure. Il pessimismo è una falsificazione del mondo reale, un aggiungere ai fatti qualcosa che nei fatti non c’è. Essere ottimisti aiuta a migliorare il senso di autoefficacia e quindi a migliorare la resilienza.

Lo sviluppo della resilienza a livello individuale si ottiene anche aumentando le capacità volizionali, cioè la forza di volontà intesa come la capacità di volere veramente e decidere di raggiungere un obbiettivo. Infatti, non basta solo volere una cosa, ma bisogna anche avere la capacità di prendere la decisione di farla. Se non si prendono le decisioni, non accadrà mai nulla. Prima del volere c’è la decisione. Decidere, volere le cose e quindi eventualmente riuscire a farle.

La volontà non è solo un concetto filosofico, ma è un comportamento che dipende dalle aree prefrontali del cervello. Migliorare la volontà è una disciplina: richiede un cambiamento di atteggiamento generale. Le occasioni per esercitare la volontà non mancano nella vita quotidiana e tutti lo sanno bene. Anche resistere alla tentazione di un dolce è un allenamento per migliorare la volontà. L’autocontrollo, infatti, è il modo migliore per allenare la forza di volontà. Anche combattere la pigrizia è un altro modo efficace per migliorare la forza di volontà, per esempio svolgere subito quelle attività indispensabili e importanti che si tendono a rimandare, come lavare i piatti dopo aver mangiato anziché buttarsi sul divano a guardare un film, stendere il bucato senza lasciarlo un giorno in lavatrice, fare il letto quando ci si alza, fare quella telefonata importante se non si ha voglia e così via…

LA TESTIMONIANZA DI PAOLO BENDINELLI

Paolo Bendinelli triatleta Ironman.

La testimonianza di Paolo Bendinelli mi ha colpito molto. È riuscito a terminare le gare di doppio Iron Man con soddisfazione e serenità, nonostante le difficoltà, i problemi, la fatica, le condizioni climatiche ecc. Paolo Bendinelli è un esempio vivente di resilienza e ottimismo incredibile! La convinzione di “potercela fare”, lo spinge ad andare avanti per piacere di verificare i propri limiti. Lui è curioso di scoprire il suo limite, tanto è vero che proverà a fare il Deca Ultratriathlon cioè 38 km di nuoto, 1800 km di bici e 422 km di corsa! Bendinelli, durante la testimonianza, ha detto che è curioso di andare a vedere cosa c’è dall’altra parte per scoprire qualcosa che non è conosciuto. Se avessimo domandato a Cristoforo Colombo perché andava oltre le colonne d’Ercole, probabilmente ci avrebbe detto la stessa cosa. Bendinelli, inoltre, ha detto: “io non vado alla ricerca della rottura, non vado ad uccidermi, ma per scoprire qualcosa che non è conosciuto”. Non si sta parlando di un pazzo scatenato, Bendinelli è una persona normale. Ovviamente è un atleta allenato, una gara non è mai frutto dell’improvvisazione o del caso, ma di duro lavoro e di un attenta preparazione fisica e mentale.

Qui c’è il rapporto tra prestazione, benessere e flow. Lui è una persona che sta bene in quello che fa e addirittura ne ha bisogno. Lui ha una motivazione intrinseca, desidera e vuole fare la gara del Deca Ultratriathlon. Non lo fa per soldi o notorietà (motivazione estrinseca, quella che viene da fuori). Esiste un idea di piacere, corre perché ama farlo, perché vuole scoprire i suoi limiti, perché ama sentirsi capace, a prescindere dalla classifica o dai premi.

Quando sentiamo il desiderio di metterci alla prova, di testare i nostri limiti, e proviamo soddisfazione nel sentirci capaci, stiamo assecondando una profonda spinta biologica. Dare enfasi al piacere di farcela piuttosto che a quello di vincere sugli altri, comporta uno spostamento importante della mentalità in direzione della motivazione intrinseca.

La performace di Bendinelli non può essere spiegata interamente con dati fisiologici; è tutta una questione mentale! Lui ha detto che durante la gara gli si presentano più volte dei “muri” che deve superare. Si tratta di veri momenti in cui il fisico è stanco e sta per cedere, ma lui, grazie alla sua forza mentale, riesce comunque a proseguire ed oltrepassarli.

Questo è dovuto anche allo stato di flow in cui Bendinelli si trova. Il flow (flusso di coscienza) è uno stato d’esperienza ottimale, in cui la persona è completamente immersa in un’attività, finché la fa.

È un concetto di trance agonistica, vale a dire “stare nella zona”, durante una prova atletica. Stare in zona vuol dire isolarsi completamente rispetto a tutto, cioè assolutamente concentrarsi su quello che si sta facendo. Un senso di calma, euforia, benessere che si ha in sfide difficili. Più impegnativa, faticosa e difficile è la sfida, più sei concentrato e più provi benessere. Quando un individuo è totalmente assorto in questo processo estremamente coinvolgente nel quale si crea qualcosa di nuovo, non rimane abbastanza attenzione per pensare ai problemi di casa o a come si senta il proprio corpo. Non ci si può nemmeno rendere conto di avere fame o essere stanchi. Il nostro corpo scompare, la nostra identità sparisce dalla nostra coscienza. Pertanto, l’esistenza è temporaneamente sospesa. Processo spontaneo che può essere compiuto da qualcuno ben allenato e con una tecnica ben sviluppata.

Paolo Bendinelli mi ha insegnato che ognuno di noi possiede una ricetta personale in tasca per affrontare una situazione, bisogna solo tirarla fuori.

LA MIA ESPERIENZA PERSONALE

Lo sport che pratico con piacere è la corsa, distanze da 800 ai 5000 metri, che considero distanze “miste”, dove sono importanti la velocità e la resistenza. Anch’io, come Bendinelli, sono in una fase di scoperta dei miei limiti. Possiedo una grande forza di volontà, ma devo rafforzare il senso di autoefficacia in quanto sono tendenzialmente pessimista e a volte metto in atto quelle strategie di autosabotaggio senza neanche accorgermene. Credo che posso migliorare, quindi cercherò di mettere in pratica tutto quello che ho imparato dalla testimonianza di Bendinelli e dal corso di psicologia generale e dello sport.

Oltre alla corsa, mi piace il culturismo, il powerlifting, ma soprattutto la pesistica, che comprende gli esercizi olimpici di strappo e slancio, la distensione su panca piana e il biathlon atletico (panca e corsa). Quando pratico la pesistica e la corsa, cerco sempre di non pormi nessun limite mentale per migliorare la mia prestazione atletica; infatti nello svolgimento di un esercizio di sollevamento pesi, all’ultima ripetizione quando sembra che ho esaurito tutte le energie, la mente porta il fisico a farne un’ulteriore. Norberto, un mio amico, sostiene che quell’ultima ripetizione l’ho fatta “di testa”. Qui prevale l’agonismo interno, il vero avversario è dentro se stessi. Bisogna imparare che non si deve per forza confrontarsi con gli altri, ma con il meglio di se stessi. Esiste un freno a livello cerebrale che entra in azione ben prima che venga raggiunto il reale esaurimento muscolare. La volontà e la motivazione riescono un po’ a forzarlo. In riferimento a questo, Arnold Schwarzenegger sostiene che la differenza che contraddistingue un campione da un perdente, sta nella capacità di superare la fatica delle ultime ripetizioni, di spingersi oltre; questo è uno dei segreti per aumentare la propria massa muscolare. In questo contesto, quando il corpo arriva al limite, la mente sposta il limite oltre, oltre il quale non si può più andare e questo è il nuovo limite che non può essere superato. Mi spiego meglio: se devo eseguire una serie di 5 ripetizioni ed arrivo alla quarta distrutto facendola a pelo, grazie alla forza della mente, riesco a fare anche la quinta ripetizione addirittura meglio della quarta! A volte rimango io stesso stupefatto! Tuttavia, se dovessi fare ulteriori ripetizioni, non sarebbe più possibile farle a causa del cedimento muscolare, nonostante la mente sia forte. Pertanto, in questo caso, esiste un limite oltre il limite e questo si ricollega alla premessa che ho fatto all’inizio di questo articolo. Non fraintendetemi: i limiti si possono oltrepassare, ma non all’infinito.

Lo stato di flow l’ho sperimentato soprattutto quando corro i 5000 metri, che mi ha così coinvolto da non farmi sentire l’eccessiva fatica. Sono davvero curioso di scoprire qual è il mio limite, fin dove posso arrivare…

BIBLIOGRAFIA

  • Trabucchi Pietro, Perseverare è umano, Corbaccio, 2012.
  • De Candia Dario, Appunti di Psicologia Generale e dello Sport, Università degli Studi di Milano, 2012.

Articoli Correlati